LA BANALITÀ DEL MALE CHE ABITA LE NOSTRE VITE, LE POSSIEDE E SE NE VA

Quante vite abbiamo? Quanto viviamo delle nostre vite e quanto invece ci immedesimiamo o ci insinuiamo in quelle di altri? Chi siamo in realtà? Siamo realmente quello che sembriamo? Siamo capaci di esprimere con sincerità pubbliche virtù difficilmente verificabili o siamo più impegnati a nascondere i nostri privati difetti? Che cos’è il male? E perché lo abitiamo tutti i giorni assieme alla menzogna?
La risposta a queste domande banali, alle quali non possiamo sottrarci, ci fa capire che cos’è la felicità, perché è passeggera e perché bisogna goderne quando arriva. La felicità è il contrario della banalità. E il male trova casa nella banalità. Quando sentiamo parlare di banalità del male ci riferiamo a questo triste concetto. Il male è male. E per quanto possa sembrarci banale, è questa la banalità del male. Non c’è - io credo - una intensità del male. Non si può dire che è poco o tanto. Il male è banale perché arriva, ti prende, ti possiede e se ne va. Ti lascia nello stato in cui ti ha trovato, pronto a recepire altro male. La fatica di chi non vuole dare ospitalità al male è quella di sforzarsi di sfrattarlo e di abitare il Bene. Pensate a recenti fatti di cronaca, cioè di vita. Un ragazzo perbene che aspetta sotto casa una ragazza e la violenta. Un infermiere tranquillo che in ospedale e fuori si dedica ai bisognosi di cure che imbraccia il fucile e giustizia fratello, cognata, vicino di casa e un passante. Anziano che regola questioni condominiali col fucile. E mille altri casi consimili. È questa la banalità del male. Il male per il male. Il male che fa tanto più male quanto più è banale e si manifesta in maniera normale.

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