ADDIO A MARCELLO D'ORTA, DIVENTO' FAMOSO CON "IO SPERIAMO CHE ME LA CAVO". IL RICORDO DEL FIGLIO GIACOMO E DI DON LUIGI MEROLA

 Giacomo D’Orta, giovane vice-parroco della Basilica di San Francesco e Paola, ricorda il suo papà, Marcello D’Orta, morto a 60 anni, alla fine di una lunga e dolorosa malattia nella sua casa del Vomero, quartiere borghese di Napoli, come un buon cristiano che alla fine del suo percorso terreno ha voluto scrivere un libro per riassumere le sue emozioni, il suo affetto per Gesù. Marcello D’Orta è stato ucciso da quello che a Napoli chiamano un brutto male o male incurabile. I medici lo chiamano cancro, per lui era “il mostro”,  compagno di viaggio sgradito che combatteva scrivendo libri, nutrendo anima, cuore e intelletto mentre il mostro da dentro gli divorava il corpo. Io speriamo che me la cavo è stato il best seller che l’ha reso famoso. Ha venduto quasi due milioni di copie. Lo consacrò scrittore di fama. Ma lui era e si è sempre considerato un modesto maestro di scuola elementare. Che amava poco i riflettori e non perdeva mai occasione di dissentire da glottologi, tuttologi, filologi e professori universitari. A lu
i ha sempre interessato il mondo dei bambini, i sogni e i bisogni dei più piccoli, sempre inascoltati dal mondo degli adulti. Io speriamo che me la cavo, anche con gli strafalcioni e gli orrori grammaticali dei temi piccoli studenti della scuola “sgarrupata” di Arzano, ha rappresentato uno spaccato di una realtà napoletana difficile, drammatica, tosta, che andava affrontata, come ha fatto anche nel suo ultimo libro a voce dei criature scritto a quattro mani con don Luigi Merola parlando sempre dei bambini.

 

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