SALERNO: LA GUARDIA DI FINANZA SGOMINA TRAFFICO DI 20.000 TONNELLATE DI RIFIUTI DI PROVENIENZA ILLECITA. DUE PERSONE ARRESTATE E DUE PROFESSIONISTI INTERDETTI



I finanzieri della Compagnia della Guardia di Finanza di Agropoli, coordinati dalla Direzione Distrettuale Antimafia della Procura della Repubblica di Salerno (SA), hanno eseguito un’ordinanza emessa dal G.I.P. presso il medesimo Tribunale, con la quale è stata disposta la custodia cautelare agli arresti domiciliari nei confronti dei due amministratori di una società che ha posto in essere l’ingente traffico di rifiuti e contestualmente la misura interdittiva temporanea dell’esercizio dell’attività professionale nei confronti di un commercialista e di un consulente del lavoro, tutti residenti nella provincia di Napoli.
Il provvedimento cautelare è stato emesso nell’ambito di un’indagine che ha portato alla luce le attività criminali di un sodalizio delinquenziale capeggiato dai due amministratori dell’impresa coinvolta, dedito alla commissione di plurimi reati di traffico e gestione non autorizzata di rifiuti, nonché di plurimi reati di frode fiscale nel settore del commercio di rottami metallici, materiali che, in base al vigente codice dell’ambiente, sono a tutti gli effetti qualificabili come rifiuti, prima del loro trattamento di recupero.
 L’esecuzione della misura restrittiva deriva dallo svolgimento da parte della Compagnia della Guardia di Finanza di Agropoli (SA) di articolate indagini di polizia giudiziaria,  scaturite dall’avvio nel 2011 di una mirata attività di polizia tributaria nei confronti di un’impresa che, dopo aver effettuato un’intensa attività di trading di rottami metallici, per oltre 50 milioni di Euro in soli tre anni, nel mese di febbraio dello stesso anno aveva trasferito la sede dichiarata da Napoli allo studio di un commercialista di Capaccio (SA), a seguito della messa in liquidazione volontaria. Gli investigatori si sono insospettiti dopo aver rilevato che l’indirizzo della precedente sede coincideva con un palazzo del popoloso quartiere Ponticelli a Napoli e che la società non era mai stata autorizzata al trattamento di rifiuti.

Le successive indagini coordinate dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Salerno hanno permesso di delineare le condotte illecite del sodalizio criminale, permettendo di scoprire che i capi del sodalizio erano soliti aprire e chiudere società dichiaratamente operanti nello stesso settore, attraverso le quali - solo nel corso degli ultimi 7 anni – sono stati  commercializzati oltre 240 milioni di Euro di rottami metallici.

Difatti, anche dopo la messa in liquidazione della società intercettata dalla Guardia di Finanza di Agropoli, uno dei due imprenditori aveva già aperto una nuova impresa con sede a Cercola (NA) ed unità operative a Pastorano (CE) e Marcianise (CE) nella cui compagine sociale non si è palesato, pur essendo delegato ad operare sui relativi rapporti bancari.

In sostanza, l’interposizione della società investigata nell’ingente traffico di rifiuti era strumentale ad attribuire ai rottami una provenienza legittima, quando in realtà gli stessi erano di origine ignota e non erano mai stati oggetto di alcun trattamento di recupero.
Pertanto, gli imprenditori commercializzavano ingenti quantitativi di rottami senza identificare i conferitori,  documentando gli acquisti con “autofatture” non recanti i nominativi dei cedenti e regolando sistematicamente le operazioni per contanti (al fine di inibire la ricostruzione dei flussi dei rifiuti), quando in realtà ogni singolo trasporto sarebbe dovuto essere tracciato mediante appositi “formulari di identificazione dei rifiuti”.

Dai conti della società i due amministratori hanno estratto oltre 30 milioni di Euro in tre anni attraverso prelevamenti in contanti ed operazioni assimilate per importi fino a 100.000 Euro al giorno e, anche a seguito delle perquisizioni eseguite all’inizio del 2012, non hanno mai fornito agli investigatori elementi idonei a consentire l’identificazione dei conferitori, necessaria per individuare la provenienza di oltre 21.597 tonnellate di rottami di rame, alluminio, acciaio inox, ottone, ferro, carter, piombo, nichel e radiatori, successivamente oggetto di cessioni ad altri operatori del settore localizzati su tutto il territorio nazionale.

Addirittura, le verifiche contabili hanno permesso di individuare anche una fattura annotata dalla società investigata e risultata oggettivamente falsa, attestando l’acquisto mai avvenuto di un altoforno da 810.000 Euro da una società con sede operativa a Marcianise (CE), poi fallita nel 2011, il cui amministratore pro-tempore è stato parimenti denunciato.

Dalle indagini è altresì emerso il ruolo fondamentale ricoperto da due professionisti, un dottore commercialista di Napoli ed un consulente del lavoro con studio a Cercola (NA), che – prima della liquidazione e del trasferimento di sede a Capaccio (SA) - avevano provveduto alla tenuta della contabilità ed all’invio delle dichiarazioni fiscali dell’impresa coinvolta, nei cui confronti il Giudice per le Indagini Preliminari ha disposto la misura interdittiva temporanea dell’esercizio delle rispettive attività professionali.

Ancora, in applicazione della norma introdotta con la legge finanziaria per il 2008 (legge 24 dicembre 2007, n. 244), che estende ai reati tributari la c.d. “confisca per equivalente”, ossia la possibilità, qualora non si possa procedere alla confisca dei beni che costituiscono il diretto profitto del reato, di “aggredire” comunque i beni di cui il reo abbia la disponibilità, per un valore corrispondente al suddetto profitto, il G.I.P. ha disposto nei confronti dei cinque indagati il sequestro “per equivalente” con riferimento ai seguenti beni e disponibilità:

-            2 appartamenti di pregio siti nel centro di Napoli e 5 unità immobiliari site in Pescocostanzo (AQ), Afragola (NA) e Pollena Trocchia (NA);
-            le partecipazioni totalitarie in 4 imprese operanti nel commercio di rottami metallici, tra cui quelle relative alla principale società oggetto di indagini;
-            disponibilità depositate su rapporti bancari;
fino a concorrenza dell’importo di Euro 13.960.233,00, pari all’ammontare delle imposte evase dalla medesima società interposta.

Le attività di polizia economico-finanziaria verranno concluse formalizzando l’esito delle connesse verifiche fiscali, anche nei confronti degli amministratori della società, che porteranno al recupero di materia imponibile sottratta a tassazione ai fini delle imposte sui redditi per 80 milioni di Euro, ai fini I.R.A.P. per oltre 50 milioni di Euro ed Iva evasa per 9,5 milioni di Euro.
Si procederà, infine, alla contestazione delle emergenti violazioni antiriciclaggio, connesse alla movimentazione in contanti di 30 milioni di Euro da parte degli amministratori tratti in arresto.

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