MEZZOGIORNO E FEDERALISMO, L'OPINIONE DI AMEDEO LEPORE

Da Amedeo Lepore, ricevo e molto volentieri pubblico, quest'interessante articolo, apparso oggi su Repubblica Napoli, sul Federalismo fiscale e sulle incognite di una sfida che il Sud dovrà affrontare
Il disegno di legge sul “federalismo fiscale” approvato dalla Camera contiene indubbi elementi di novità, rispetto al testo licenziato dal Senato. Si tratta essenzialmente di quattro punti, che sono stati sostanzialmente migliorati, grazie all’accoglimento di alcune delle proposte emendative elaborate dalla SVIMEZ. Il primo punto riguarda gli interventi di finanza pubblica per il superamento degli squilibri socio-economici tra Nord e Sud, che, proprio per la loro natura strutturale, richiedono un tempo medio-lungo e una dimensione adeguata di risorse. Va in questa direzione la modifica introdotta, secondo cui “l’azione per la rimozione degli squilibri strutturali di natura economica e sociale a sostegno delle aree sottoutilizzate si attua attraverso interventi speciali organizzati in piani organici finanziati con risorse pluriennali, vincolate nella destinazione”. Il secondo punto è riferito al meccanismo di finanziamento delle funzioni non essenziali, alcune delle quali sono legate – sia direttamente che indirettamente – allo sviluppo del territorio (basti pensare a settori, come le attività produttive, il turismo, la cultura, il commercio, l’agricoltura, l’ambiente e la tutela del territorio, che, nelle Regioni più deboli economicamente, avrebbero patito una perdita consistente di risorse, con l’applicazione del meccanismo della perequazione della capacità fiscale). Il testo è stato modificato, evitando, in questo modo, l’annullamento dei trasferimenti delle risorse finanziarie dell’ex fondo perequativo della legge 549/95, che costituiscono una parte considerevole dell’importo necessario per coprire i costi delle funzioni non fondamentali, nelle Regioni con minori capacità fiscali. Il terzo punto riguarda l’eliminazione della riserva di aliquota, che avrebbe comportato la messa in discussione dell’unitarietà dell’imposta sul reddito delle persone fisiche, uno strumento basilare per il mantenimento della progressività del sistema tributario, previsto dall’art. 53 della Costituzione. Nel nuovo elaborato approvato dalla Camera - oltre all’inserimento dell’indicazione secondo cui la compartecipazione al gettito delle imposte fa riferimento “in via prioritaria a quello dell’IVA” -, la riserva di aliquota è stata soppressa e, al suo posto, come possibile tributo delle Regioni, sono state inserite “le addizionali sulle basi imponibili dei tributi erariali”. Il quarto punto riguarda l’introduzione, sia pur timida, nell’articolo relativo alla perequazione infrastrutturale, di un riferimento al deficit infrastrutturale e al deficit di sviluppo. In questo modo, dunque, si è cercato di porre riparo ad una modalità ricognitiva che non favoriva per nulla le aree sottoutilizzate. Tuttavia, di fronte all’esultanza a senso unico di Bossi, che all’atto dell’approvazione del disegno di legge alla Camera, ha esclamato: “ormai è fatta!”, varrebbe la pena di interrogarsi e, soprattutto, di agire per cercare di apportare, nel corso dell’iter procedimentale al Senato, ulteriori significativi miglioramenti ad un provvedimento dai contorni ancora molto rischiosi per il Mezzogiorno e per l’unità effettiva del paese. Infatti, la valutazione complessiva sull’esito del “federalismo fiscale” è ancora fortemente condizionata dall’assenza di parametri economici, sociali e finanziari in grado di quantificare l’impatto delle diverse misure proposte sui livelli delle prestazioni essenziali nei campi della sanità, dell’istruzione e dell’assistenza sociale. In particolare, non è ancora dato di sapere se l’insieme delle prestazioni nella sanità sarà definito in relazione alle cifre risultanti dal Patto sulla salute sottoscritto dalle Regioni e dal Governo nel 2007, oppure in riferimento alle ultime previsioni adottate nei documenti economici del nuovo Governo. Inoltre, tutta la materia affidata ai decreti delegati – a maggior ragione alla luce dell’incertezza attuale dei calcoli economici – riflette ancora un inadeguato coinvolgimento del Parlamento, che non può esercitare, neppure attraverso la Commissione bicamerale, una reale concertazione prima dell’adozione dei provvedimenti attuativi. Per di più, nonostante l’affermazione del “carattere verticale” – cioè, gestito centralmente – del fondo perequativo, resta la contraddizione della modalità del suo finanziamento, attraverso quote di compartecipazione al gettito dell’IVA dei territori più ricchi, che rischia di avvalorare la pretesa delle Regioni erogatrici di presentarsi come enti che trasferiscono risorse proprie (e non erariali, ovvero dello Stato) a favore delle Regioni beneficiarie più deboli. Va, poi, rilevato che l’Anci (l’Associazione dei Comuni Italiani), pur esprimendo una valutazione positiva per i passi in avanti del testo, ha sottolineato che “permangono alcune perplessità sulle garanzie in ordine alle risorse finanziarie assegnate ai Comuni nella fase di avvio del federalismo fiscale”. Infine, a fronte della novità già indicata relativa alle risorse pubbliche per il superamento degli squilibri economici, vi è da rilevare l’assenza di un più profondo legame tra la scelta del “federalismo fiscale” e la necessità di ridurre il divario economico. Infatti, sia l’impiego di fondi destinati alle aree svantaggiate a favore di “specifiche realtà territoriali”, anche in relazione “alla collocazione geografica degli enti, alla loro prossimità al confine con altri Stati o con regioni a statuto speciale, ai territori montani e alle isole minori”, sia la scelta di sottoporre gli obiettivi e i criteri di utilizzazione delle risorse da destinare agli interventi previsti dal quinto comma dell’art. 119 della Costituzione ad una “intesa in sede di Conferenza unificata”, anziché alla decisione autonoma dello Stato, rappresentano un chiaro pericolo di perpetuare il dualismo italiano. Per tutte queste ragioni, sarebbe auspicabile che, evitando di farsi del male da soli, i rappresentanti meridionali (e chiunque abbia a cuore il destino del paese) lavorassero ancora per introdurre ulteriori e qualificate modifiche ai punti critici del disegno di legge, fornendo un quadro di riferimento meno incerto e rischioso al nuovo Mezzogiorno di cui vi è bisogno.
Amedeo Lepore

Commenti