MONNEZZOPOLI, IL LIBRO CHE SVELA LA TRUFFA DEI RIFIUTI

Scorrere le pagine di “Monnezzopoli” e finalmente respirare. Liberarsi così dal tanfo del fiume di monnezza che ancora ammorba l’aria di Napoli e della Campania. Affrancarsi dal fetore di marcio che avvelena la vita pubblica di una regione, la Campania, che per tre lustri ha sniffato l’odore dei soldi: sono stati sciupati 2 miliardi di euro. Due miliardi ragazzi, mica bruscolini, per risolvere il problema dei rifiuti che invece è ancora lì, come la monnezza, testimonianza di uno scandalo senza precedenti, forse anche peggiore degli sperperi e delle ruberie del post terremoto. Ma il sollievo dura poco, perché quei due miliardi buttati puzzano. Più delle piramidi di sacchetti che soffocano la Campania. Leggere le 220 pagine di “Monnezzopoli - la grande truffa” di Paolo Chiariello, Tullio Pironti editore, è un po’ come entrare in una galleria degli orrori. Gli orrori dei cittadini campani, anzi di tutti noi italiani. Alla fine, però, se ne esce con la convinzione di avere compreso appieno questo scandalo. Sì, perché “Monnezzopoli” ti prende per mano, e ha l’ardire di spiegarti come sia stato possibile sperperare 4mila miliardi delle vecchie lire per superare l’emergenza rifiuti e ritrovarsi con la spazzatura ai secondi piani delle case. E scusate se è poco. Per riuscire nell’impresa Chiariello, giornalista di Sky Tg24, di quelli che amano fare le inchieste sul campo, non ha esitato a tuffarsi in decine di migliaia di pagine di inchieste penali, contabili, amministrative e parlamentari (oltre 130mila solo quelle dell’inchiesta “madre” della Procura di Napoli che rischia di inchiodare Antonio Bassolino e gli uomini della Impregilo a responsabilità enormi) su quello che è già passato alla storia come lo scandalo dei rifiuti. Una ricerca puntuale, certosina, mai banale e, quel che più conta, costantemente corroborata dai documenti che Chiariello fa parlare per illustrare le responsabilità ai vari livelli: malamministrazione, malagestione, malgoverno, malavita, camorra. Chiariello utilizza la prima parte del libro nell’impegnativa ricostruzione della nascita e del cammino dei due appalti da 700 milioni di euro affidati dal Commissariato straordinario ad aziende dell’Impregilo.
Il libro è carne viva, perché va in distribuzione non solo mentre la Campania affoga nell’immondizia e il neocommissario Gianni De Gennaro (l’ennesimo) cerca una soluzione (e non la trova), ma proprio mentre Bassolino e altri 27 imputati vengono rinviati a giudizio per una sequela impressionante che vanno dalla truffa alla turbativa d’asta al disastro ecologico. Un’inchiesta incredibile, per molti aspetti paradossale e dalla quale, «tra le altre cose, emerge che il controllore, invece di denunciare, copriva magagne e giustificava inefficienze del controllato». Il controllore era Bassolino, i controllati erano le aziende del gruppo Impregilo.
Ma il capitolo di gran lunga più sconvolgente (e scottante) Chiariello lo dedica ai due miliardi di sprechi del Commissariato, «una vena aperta nei conti dello Stato, un organismo che ha speso senza alcun costrutto più dell’ex Cassa del Mezzogiorno, se si considera il lasso di tempo e il campo di azione limitato ad una sola Regione del Sud». Il perché è presto detto: chi avrebbe dovuto risolvere l’emergenza ha subito scoperto che aggravarla era molto più redditizio. Perché l’emergenza rifiuti, spiega Chiariello, è un’industria che produce reddito per tutti: camorristi, politici e i cosiddetti esponenti della società civile che spesso sono stati a busta paga come consulenti del potente di turno che allargava e chiudeva i cordoni della borsa dove c’erano i soldi pubblici. «L’impressione è che in tanti in questi anni, dal più umile dei lavoratori socialmente utili al professionista che si è arricchito con consulenze ben remunerate del Commissariato di governo - è l’analisi dell’autore senza peli sulla lingua - abbiano lavorato per l’emergenza, non per estirparne le radici. I motivi? Il loro portafoglio, il loro lavoro, è legato a filo doppio ai soldi stanziati per l’emergenza rifiuti». Si spiega allora come sia stato possibile il lievitare delle spese del Commissariato dai poco più di 16mila euro del 1996 al milione e 140mila del 2003. L’inchiesta amministrativa condotta dal dirigente del Tesoro, Natale Monsurrò, lo illustra con agghiacciante semplicità. Agghiacciante, come la vicenda dei 2.500 lavoratori dei Consorzi di Bacino pagati per non fare nulla, assunti «senza rispettare le norme del collocamento, pescando tra liste di soci di cooperative di disoccupati che un giorno sì e un giorno pure tenevano in scacco la città», denuncia Chiariello. Uno scandalo nello scandalo, costato 60 milioni di euro all’anno a fronte di una raccolta differenziata sotto il 10%. Tutto questo in una regione che vanta «un addetto ai rifiuti ogni 400 abitanti. La media nazionale è di uno ogni novemila».
Perfino il mitico capitano Ultimo, oggi maggiore Sergio De Caprio, l’ufficiale dei carabinieri che arrestò Toto Riina, ha provato a venirne a capo. Risultati? Zero. Fermata obbligata del libro, ovviamente, la camorra. Chiariello illustra come il business dell’ecomafia sia iniziato come prolungamento di un’altra emergenza: quella del terremoto dell’80. Una volta scavate le cave per ottenere il materiale inerte necessario alle grandi opere pubbliche subappaltate alle imprese di camorra occorreva poi riempirle: «Non era forse meglio colmare quelle voragini facendo ingoiare alla terra spazzatura?». I camorristi, i Casalesi per primi e più di tutti, lo capirono al volo. Fu così che la terra ingoiò rifiuti d’ogni tipo: monnezza nei sacchetti, fusti con materiale tossico e bidoni con scorie radioattive. Roba che ha ingravidato un pezzo della Campania che gli antichi romani definivano Campania Felix per l’eccezionale fertilità dei campi e che Chiariello ha ribattezzata “Canpania inFelix”.

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