RIFIUTI & CAMORRA, VI SVELIAMO IL PATTO SCELLERATO TRA PEZZI DELLO STATO E COSCA DEI CASALESI ALLA LUCE DELL'OMICIDIO DELL'IMPRENDITORE MICHELE ORSI





Il prefetto di Caserta, Ezio Monaco, ha assegnato la scorta a Sergio Orsi, fratello di Michele, l’imprenditore 47enne assassinato a Casal di Principe, nel Casertano, pochi giorni prima che entrasse in un’aula di giustizia per testimoniare in un procedimento penale che lo vede imputato (assieme a Sergio) per presunti legami con le cosche dei Casalesi nel business milionario dei rifiuti in Campania. Un delitto annunciato. Tutti sapevano a Casal di Principe che quell’uomo era un morto che camminava e che la sua paventata collaborazione con la giustizia gli sarebbe costata la vita. Chi ha ammazzato Michele Orsi – spiegano gli inquirenti - non voleva che questi svelasse alla magistratura nomi e circostanze che proverebbero il sinistro connubio tra pezzi dello Stato e camorristi che da anni vanno a braccetto nell’affare rifiuti e non solo. Eppure questo patto scellerato tra Stato e Antistato è oggetto di grande attenzione in un’inchiesta dirompente della Direzione distrettuale antimafia di Napoli che ha già svelato in parte come la cosca dei Casalesi in questi anni di emergenza rifiuti è riuscita a corrompere funzionari dello Stato, ad avere rapporti poco chiari con il Commissariato di Governo per l’emergenza rifiuti, a trovare sponde istituzionali in importanti politici locali e di livello nazionale e di intrattenere frequentazioni strane (su cui ha indagato e indaga anche il Consiglio superiore della magistratura) con magistrati.In qualche caso parliamo di magistrati che hanno meritato sul campo fama di incorruttibili ed acerrimi nemici della mafia dei rifiuti e che per questo potrebbero essere fatti segno di azioni concertate ad hoc al solo intento di screditarli. L’inchiesta è proprio quella che ha portato in cella i fratelli Sergio e Michele Orsi, considerati il braccio imprenditoriale dei Casalesi, uomini capaci persino di imporre al Commissariato di Governo per l’emergenza rifiuti, con ruoli anche di vicecommissari, soggetti a loro vicini. Parliamo di accuse messe nero su bianco e che ora sono al vaglio del Tribunale di Napoli, con personaggi insospettabili chiamati a testimoniare sia sugli strani rapporti intrattenuti con imprenditori che facevano affari con i camorristi che con soggetti che riuscivano a pilotare importanti appalti in materia di raccolta e smaltimento dei rifiuti e bonifiche del territorio. In questi strani intrecci e dubbie storie, evidentemente, gli inquirenti cercano di scoprire chi sono gli assassini di Michele Orsi e perché i boss dei Casalesi in queste ultime tre settimane hanno ordinato di uccidere pentiti e loro familiari, testimoni di giustizia e aspiranti tali come Michele Orsi. L’indagine che ha coinvolto i fratelli Orsi e che forse ne ha causato la morte è della Direzione distrettuale antimafia di Napoli ed ha messo a nudo l’esistenza di un reticolo di società e capitali mafiosi manovrati da insospettabili colletti bianchi organici alla cosca dei Casalesi: persone inserite in consorzi o infiltrate in istituzioni e capaci di condizionare appalti, influenzare importanti decisioni politico-amministrative anche a livello romano e dirottare finanziamenti pubblici verso aziende del clan impegnate nel ciclo dei rifiuti o nelle attività di bonifica di siti inquinati. L’atto di accusa è di Raffaele Cantone (oggi magistrato in Cassazione) e Alessandro Milita. Tra gli imputati in questa inchiesta, arrivata a conclusione con una ventina di arresti, ci sono i fratelli imprenditori di Casal di Principe Sergio e Michele Orsi, definiti dai magistrati “soggetti strettamente collegati da un ampio arco temporale ed in via non occasionale al clan dei Casalesi - ed in particolare alla ramificazione di questo facente capo al Bidognetti Francesco - e rappresentano nella sostanza l’emanazione del gruppo nel mondo economico e produttivo”. In altri termini i fratelli Orsi, spiegava il gip Alessandro Buccino Grimaldi che li spedì in carcere nel marzo del 2007, “secondo uno schema tristemente noto al Sud , dell’imprenditore camorrista, si servivano della decisiva capacità di pressione e persuasione del gruppo di riferimento per ottenere favorevoli e lucrose occasioni di lavoro - specialmente appalti pubblici - e contribuivano alla sopravvivenza ed al benessere di questo versando - non in quanto estorti ma come volontaria corresponsione della quota associativa - una percentuale (di regola nella misura del 6 %) degli utili ricavati dall’attività svolta grazie all’intervento dei consociati”. Insomma, per farla breve, gli inquirenti ritengono che i fratelli Orsi erano il braccio operativo imprenditoriale dei Casalesi, ottenevano appalti fino al 2007 dal Commissariato straordinario per l’emergenza rifiuti attraverso un consorzio di enti pubblici Ce4 che aveva acquistato per una cifra fuori mercato (usando un sistema di false fatturazioni) la società di raccolta Eco 4. Secondo l’accusa, la capacità di condizionamento di istituzioni pubbliche da parte dei fratelli Orsi era così forte da poter “sistemare” al Commissariato di governo per l’emergenza rifiuti, l’architetto Claudio De Biasio. Già direttore Ce4, viene arrestato nell’inchiesta dei pm Cantone e Milita, non solo per aver gestito un’azienda e curato un consorzio descritti come imprese organiche agli interessi del clan dei Casalesi, ma soprattutto per il fatto che esistessero “nessi operativi fiduciari che lo legavano ai fratelli Orsi”, che in una intercettazione telefonica lo definiscono “un uomo nostro”. Nella intercettazione telefonica del 15 febbraio del 2005, Michele Orsi chiede ad Ernesto Raio - Capo di Gabinetto del Commissario Corrado Catenacci - di valutare la possibilità di inserire, tra i tecnici del Commissariato di Governo “qualcuno dei nostri”, facendo, a richiesta del Raio, proprio il nome di Claudio De Biasio. Un paio di mesi dopo quella strana richiesta di Michele Orsi a Ernesto Raio, i magistrati scoprono che il De Biasio risultava effettivamente aver assunto ruoli di estremo rilievo nell’ambito del Commissariato di Governo. Nel giugno del 2004 De Biasio viene nominato responsabile del Procedimento subentrando in tutte le attività già assegnate al dimissionario ingegnere Umberto Pisapia, nell’ottobre dello stesso anno viene inquadrato nell’organico della Struttura Commissariale, con il ruolo di Responsabile unico del procedimento. Assunzione e avanzamento di carriera avvengono nel periodo in cui il Commissario di Governo è il prefetto Corrado Catenacci. Ma l’irresistibile ascesa di Claudio De Biasio non si ferma, perché all’atto dell’insediamento di Guido Bertolaso al vertice della struttura che dal 1994 si occupa inutilmente dell’emergenza rifiuti in Campania, De Biasio diventa addirittura vice commissario. Un po’ di vergogna per la gravità delle accuse ed un evidente imbarazzo assalgono Guido Bertolaso quando apprende il 3 aprile del 2007 che Claudio De Biasio, il suo vice, è stato arrestato con l’accusa di essere stato direttore generale di Eco 4, braccio operativo di Ce4, al centro di un’indagine che collega nella truffa rifiuti, società miste, comuni, imprese e camorra. “La sua nomina l’ho fatta io, senza subire alcuna pressione, su indicazione del ministro dell’Ambiente Alfonso Pecoraro Scanio” disse a caldo Bertolaso, che scaricava, almeno così sembrava, la responsabilità del tutto sul leader dei Verdi. A questo punto arrivati, chiunque avrebbe pensato che Claudio De Biasio, indagato dai magistrati Cantone e Milita in una brutta storia di monnezza e camorra ed imputato nel procedimento penale dei magistrati Sirleo e Noviello sulla truffa nella gestione del ciclo dei rifiuti, sarebbe stato messo da parte. E invece no! De Biasio ricompare a Roma, negli uffici della Protezione Civile, quindi sempre alle dipendenze di Guido Bertolaso, dove è stato sistemato in virtù del fatto che è un dipendente pubblico del consorzio Caserta 4, dopo aver scontato due mesi di interdizione dai pubblici uffici. Si protesta innocente (e lo è, fino a prova contraria), dice di non aver mai avuto a che fare con la camorra e chiede a tutti di essere dimenticato.Non sarà semplice, così come non sarà facile per il prefetto Corrado Catenacci, predecessore di Bertolaso e Pansa, digerire il contenuto degli atti dell’inchiesta dei pm Cantone e Milita, dove oltre a poter leggere che il suo capo di Gabinetto si preoccupava di raccogliere sponsorizzazioni di persone da assumere al Commissariato rifiuti (vedi Claudio De Biasio) potrà anche gustarsi la ricostruzione che gli inquirenti fanno di una consegna di “vino” (lo scrivono così i magistrati) fatta dall’imprenditore Michele Orsi a Ernesto Raio nel corso di un incontro all’uscita di Aversa su una strada a scorrimento veloce. Era un “pensierino” per le feste pasquali. Così come non dev’essere stata una bella notizia per il prefetto Corrado Catenacci leggere sui giornali il contenuto di alcune telefonate tra lui e Bertolaso. Non perché dicesse qualcosa di compromettente, ma perché la sua utenza telefonica era intercettata. Evidentemente perché un magistrato l’ha ritenuto opportuno. Forse perché, in queste ultime inchieste che raccontano le truffe intorno all’affare rifiuti e il sinistro connubio tra camorra e spazzatura che ha appestato l’aria e distrutto l’ambiente della Campania, nessuno può considerarsi al di sopra di ogni sospetto. Non lo è stato neppure Donato Ceglie, magistrato in servizio alla procura di Santa Maria Capua Vetere, icona delle più dure battaglie giudiziarie contro le ecomafie in terra casertana. Ceglie è rimasto invischiato nell’inchiesta dei suoi colleghi della direzione distrettuale antimafia di Napoli, Cantone e Milita, che l’hanno denunciato alla procura di Roma per un “presunto interessamento volto a favorire il rilascio del porto d’armi a Michele Orsi da parte della prefettura di Caserta”. Accusa grave per un magistrato vista la persona che avrebbe voluto favorire, e cioè quel Michele Orsi che, come abbiamo già scritto, viene indicato come il braccio imprenditoriale del clan dei Casalesi nel business dei rifiuti. Ceglie è stato sì prosciolto dal Gip romano Giuseppe Renato Santacroce, ma nero su bianco restano i pesanti apprezzamenti del sostituto procuratore di Roma, Giuseppe Amato. Infatti, nella richiesta di archiviazione delle accuse, il pm Amato non ha mancato di sottolineare che è vero solo che “non è risultato dimostrato convincentemente, al di là di ogni ragionevole dubbio, il coinvolgimento del Ceglie nella procedura amministrativa” per il rilascio del porto d’armi ad un uomo sospettato di collusioni con la camorra. Ma con riferimento ai rapporti di Ceglie con Raio ed Orsi (il capo di gabinetto della struttura commissariale e l’imprenditore di Casal di Principe poi arrestati), e più in generale ai rapporti del magistrato di Santa Maria Capua Vetere e il Commissariato, “le emergenze investigative - scrive il magistrato romano- militano per rapporti inusitatamente stretti, a volte eccessivamente confidenziali, in tutta probabilità non consoni al necessario distacco che un magistrato deve avere allorché detti rapporti possano intersecarsi con la propria attività istituzionale”.

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