LA STRAGE DEI VENTENNI DI SCAMPIA E LA SECONDA FAIDA DOPO LO SPUTTANAMENTO DEL COLONNELLO FABIO CAGNAZZO E DEL DIRIGENTE DELLA POLIZIA VITTORIO PISANI
La seconda faida di Scampia, quella che passerà forse alla
storia come “la strage dei ventenni” (la definizione non è
mia ma di una giornalista che scrive le cose che vede) è cominciata
quando lo Stato ha deciso di fare un passo indietro a Scampia e Secondigliano.
Un passo indietro proprio nel momento in cui aveva ridotto al lumicino la
potenza militare ed economica delle famiglie mafiose che alimentano questa
sanguinosa guerra. Attenzione, non una guerra tra straccioni violenti. Questi
signori scissionisti e dilauriani o girati o della Vannella Grassi o come
cavolo li vogliamo chiamare si uccidono per gestire in regime di monopolio il
business della cocaina. Un affare che frutta solo in quella zona dai 6 agli 8
milioni di euro al mese, quasi cento milioni di euro all’anno. Da due a quattro
anni fa sono finiti in cella, travolti poi da condanne, in alcuni casi
all’ergastolo, i protagonisti di questo scannatoio criminale. Uno dietro
l’altro furono trascinati in manette in carcere Cosimo Di Lauro, Paolo Di Lauro,
Cesare Pagano, Raffaele Amato e tantissimi altri i cui nomi e cognomi magari a
voi non dicono niente ma che dagli atti degli inquirenti risultavano essere
feroci assassini, eccellenti finanzieri e imprenditori capaci di investire i
fiumi di denaro provento del narcotraffico. Stiamo parlando di personaggi, a
volte anche insospettabili, che viaggiavano molto tra Milano e Miami, Roma e
Barcellona, Madrid e Città del Messico o Lima, Medellin, Bogotà dove
incontravano direttamente i narcotrafficanti dei cartelli sudamericani. Chi
portò questa gente in carcere? Chi fu capace di fermare la faida, arrestare i
capi, gli assassini e togliere loro i patrimoni? Udite udite, un ufficiale dei
carabinieri e un dirigente della polizia di Stato. Due uomini dello Stato che
andavano d’accordo, che lavoravano spesso gomito a gomito, mangiavano spesso
assieme, condividevano lavoro e anche amicizia e amicizie. Dietro loro un
gruppo di magistrati eccezionali che ogni giorno rischiano la pelle per
affermare che lo Stato esiste anche a Scampia e in altri luoghi di mafia come
Casal di Principe o Afragola. I due nemici della camorra di Scampia e
Secondigliano, che avevano fermato la faida, erano il colonnello dei
carabinieri Fabio Cagnazzo e il dirigente della squadra mobile Vittorio Pisani.
Che fine hanno fatto? Cagnazzo chissà dove è stato trasferito, inseguito
com’era da accuse e veleni anonimi (dai quali non puoi difenderti) che lo
volevano troppo attento a correre dietro ai Di Lauro e a dimenticarsi degli
scissionisti. Perché? Secondo i corvi o se volete gli sciacalli anonimi, era
amico dei nemici di Di Lauro. Pisani, invece, è sotto processo perché accusato
di essere non solo amico di un ristoratore amico di usurai e camorristi, ma di
avere un rapporto anche fin troppo confidenziale con un padrino della camorra
di prima grandezza, Salvatore Lo Russo, nel frattempo diventato collaboratore
di giustizia. Così, all’improvviso, due uomini che all’apparenza erano
specchiatissimi, applauditissimi per il lavoro eccellente che facevano, amicissimi,
ben visti nelle loro amministrazioni e in Procura a Napoli, diventano persone
opache, da tenere alla larga e anche da processare. Non ho idea come finiranno
le vicende umane e processuali di Pisani e Cagnazzo, ma ho più di un dubbio su
come e perché questi due uomini su cui chiunque avrebbe scommesso, d’un tratto
sono stati messi all’angolo e coperti di fango. Il loro sputtanamento è
coinciso con la fine della lotta seria (fatta con indagini e arresti
importanti, non solo con i blitz quotidiani nelle piazze di spaccio) ai mafiosi
di Scampia, al ritorno in campo delle nuove leve delle cosche di
narcotrafficanti e all’esplosione della nuova faida. Una faida alimentata da
ventenni, giovanissimi senza alcuna caratura criminale, gente che prima spara e
uccide e poi ragiona.
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