SCONTRO NAPOLITANO-PM PALERMO, PER CAPOTOSTI SONO RETORICI I RIFERIMENTI A RE. PER MIRABELLI "IL SOVRANO NON C'ENTRA, IN GIOCO FUNZIONE PRESIDENTE"
"I riferimenti a monarchi sono un po'
retorici. L'immunità del Capo dello Stato è diventata via via
più vasta perchè più ampie sono diventate le sue funzioni: gli
ultimi Presidenti, da Pertini in poi, hanno visto un ampliamento
delle funzioni presidenziali e politiche che richiedono una
forma di irresponsabilità politica". E' quanto osserva il
presidente emerito della Corte Costituzionale Piero Alberto
Capotosti, in merito alla memoria di costituzione della Procura
di Palermo nel conflitto tra poteri dello Stato sollevato di
fronte alla Consulta dal Capo dello Stato Giorgio Napolitano. Su
una posizione analoga Cesare Mirabelli, anch'egli presidente
emerito della Corte Costituzionale: "Il Capo dello Stato non è
persona sacra e inviolabile, ma gode di una garanzia funzionale,
legata cioè alla sua funzione, e che va assicurata: altrimenti,
l'attività del presidente potrebbe essere controllata. E'
evidente che non c'e' una immunità assoluta del Presidente della
Repubblica, come di qualsiasi altro soggetto, e se commette
reati immediatamente percepibili come tali, non vale
un'immunità. Ma queste sono tutte conversazioni avvenute con il
presidente che si trovava al Quirinale, altro aspetto che sarà
probabilmente tenuto in considerazione. La chiave
dell'obbligatorietà dell'azione penale può essere un grimaldello
per aprire qualunque porta". "Certo - aggiunge il giurista - il
passaggio sul sovrano colpisce, impressiona, ma il 'conflitto'
non va visto come un 'dramma istituzionale', ma è l' occasione
per fare chiarezza su un punto controverso e controvertibile,
che il giudizio della Corte può correttamente dipanare".
Secondo Capotosti, c'è un altro punto debole nella memoria
depositata dalla Procura di Palermo: "Il discorso sull'immunità
nel caso di specie non è ben centrato, in quanto la memoria
sembra far riferimento al problema dei reati extrafunzionali.
Nel caso che riguarda il conflitto, questo non si pone: nessuno,
neppure la Procura di Palermo, ha mai pensato di muovere accuse
al Capo dello Stato relative all'inchiesta sulla trattativa
Stato-mafia: le intercettazioni telefoniche erano casuali,
indirette, l'indagato era l'ex ministro Mancino. Sollevando la
questione dei reati extrafunzionali, si trasforma il Capo dello
Stato, indirettamente, in una sorta di indagato". Secondo il
giurista, il punto è un altro: "Si tratta di valutare se
l'immunità prevista dall'art. 90 della Costituzione sia anche
un'immunità di tipo politico. A mio avviso, il Presidente stava
esercitando una funzione 'politica' in senso alto, la questione
era di grande importanza, lui è anche presidente del Csm, e la
vicenda della cosiddetta trattativa Stato-mafia aveva avuto
conseguenze anche politiche".
Mirabelli si sofferma anche su un altro aspetto: l'art. 271
del codice di procedura penale: "Il mantenimento e la custodia
di quelle intercettazioni non poteva essere essere fatta.
Nell'atto depositato si prefigura, potenzialmente, la ostensione
alle parti della conversazione intercettata: ma così, la
riservatezza viene meno. Per contro si indica come non
applicabile l'art 271 del codice di procedura penale, che affida
direttamente al giudice la possibilità di distruggere
intercettazioni che violino un segreto professionale (per
esempio dell'avvocato o del confessore, ndr). Se cosi' fosse, il
segreto professionale sarebbe più protetto di quello
presidenziale. Quindi, a mio avviso, se anche il pm non può
disporre direttamente la distruzione di intercettazioni, gli
inquirenti di Palermo avevano a disposizione la via per non
'ibernare' quelle conversazioni e distruggerle: ricorrere al 271
cpp che consentiva di attivare l'immediata distruzione
attraverso il giudice". Ma "le intercettazioni non vanno
demonizzate - avverte il giurista - sono uno strumento
fondamentale di indagine, solo un uso inappropriato può
determinare contraccolpi".
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