LUNGA ESTATE DEL COLLE CONTRO'PRETESTUOSI ATTACCHI' DOLORE PER MORTE D'AMBROSIO, IRA PER TENTATIVI DELEGITTIMAZIONE

E' forse rinchiuso nelle parole pronunciate da uno sgomento Presidente della Repubblica per la morte del suo 'prezioso collaboratore' Loris D'Ambrosio, tutto lo sconcerto del Capo dello Stato per una vicenda che prende corpo proprio all'inizio della scorsa estate, quando il 'Fatto Quotidiano' pubblica il primo servizio che catapulta il Colle dentro le indagini sulla presunta trattativa Stato-mafia all'inizio degli anni '90. Scatenando una durissima reazione del Quirinale, arrivato a sollevare davanti alla Corte Costituzionale un conflitto di attribuzione contro la Procura di Palermo per le decisioni da questa assunte sulle intercettazioni di conversazioni telefoniche del Capo dello Stato. E' il 16 giugno quando il quotidiano diretto da Antonio Padellaro pubblica un' inchiesta dal titolo 'I misteri del Quirinale. Indagine sulla trattativa Stato-mafia'' in cui, tra l'altro, si parla di una telefonata dell'ex ministro Nicola Mancino al Quirinale, confermata dal consigliere giuridico di Giorgio Napolitano Loris D'Ambrosio, che pero' non fornisce informazione alcuna sui contenuti di quel colloquio (''E' vero, mi ha chiamato. Ma quel che ha fatto il presidente e' top secret''). In quella telefonata, Mancino - scrive il Fatto - avrebbe chiesto aiuto al Quirinale dopo essersi lamentato delle indagini dei Pm di Palermo. La reazione del capo dello Stato e' immediata e quasi incredula: ''parlare di misteri del Quirinale e' soltanto risibile'' si indigna Napolitano che respinge queste ''irresponsabili illazioni'' sottolineando di aver agito secondo le sue ''responsabilita' e nei limiti delle sue prerogative''. Di fronte ad un'opinione pubblica sbigottita, e' l'ex magistrato e leader dell'Idv, Antonio Di Pietro, che prende subito, e a spada tratta, la difesa delle procure coinvolte: chiede prima una Commissione d'inchiesta, arriva ad accusare il Presidente di tradimento della Costituzione e, piu' in la', propone al governo con un ordine del giorno presentato alla Camera, di costituirsi parte civile nel processo Stato-mafia. Passa, intanto, un mese dallo scoppio della delicatissima vicenda quando Giorgio Napolitano decide di reagire sollevando il conflitto di attribuzione nei confronti della Procura di Palermo per le decisioni che questa ha assunto sulla questione centrale della vicenda. E cioe' sulle intercettazioni di alcune, quattro, conversazioni telefoniche del Capo dello Stato. Sono decisioni che il Presidente considera, anche se riferite a intercettazioni indirette, lesive di prerogative attribuitegli dalla Costituzione. Poi, qualche giorno dopo, muore improvvisamente D'Ambrosio. Giorgio Napolitano e' sconvolto, definisce ''atroce'' il rammarico per quella che definisce una ''campagna violenta e irresponsabile di insinuazioni e di escogitazioni ingiuriose'' verso il suo collaboratore. Intanto, in attesa dell' udienza di fronte ai giudici della Consulta prevista il 4 dicembre, il presidente della Repubblica torna a difendere l'operato del suo collaboratore, prematuramente scomparso forse proprio a causa dell'immensa preoccupazione per quando accaduto. Giorgio Napolitano non esita a pubblicare le lettere scambiate con D'Ambrosio nei giorni in cui scoppia il caso. Parole in cui emerge la fiducia totale riposta nei confronti del suo consigliere per gli Affari e la Giustizia: ''L'affetto e la stima che le ho dimostrato in questi anni restano intangibili, neppure sfiorati dai tentativi di colpire lei per colpire me''.

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