CAMPANIA INFELIX, LA STRAGE DEGLI INNOCENTI


I dati sui tumori intorno all'Ilva di Taranto hanno consigliato al ministro Clini di correre ai ripari e dire che occorre un piano straordinario per bonificare la città e assicurare ai cittadini tarantini lo stesso diritto alla salute di tutti gli italiani. Quello che leggete di seguito è invece il capitolo di un libro (Monnezzopoli)  sui dati scientifici (Oms, Iss, Cnr, scienziato Alfredo Mazza) circa l'insorgenza di patologie tumorali tra Napoli e Caserta, in quella che convenzionalmente abbiamo definito "la terra dei fuochi".  I dati scientifici sono relativi allo stesso periodo di studio di Taranto, fino al 2002. Da allora, tra Napoli e Caserta, dove nulla è stato fatto, e dove la monnezza continua a bruciare e ad avvelenare le viscere della terra e ad appestare l'aria, la situazione è solo peggiorata. Quello che si sta consumando in questa zona si chiama "genocidio". Centinaia di persone muoiono di cancro e tumori nel silenzio colpevole delle istituzioni. 



Esiste una stretta correlazione tra salute e rifiuti, un legame sinistro tra smaltimento illegale della spazzatura e tasso di mortalità per tutte le cause. È quanto emerge da uno studio commissionato dal Dipartimento della Protezione Civile all’Organizzazione Mondiale della Sanità, all’Istituto superiore della Sanità, al Consiglio nazionale delle Ricerche e ad altre istituzioni scientifiche che hanno analizzato gli effetti sanitari della gestione dei rifiuti in Campania, confermando la presenza di rischi elevati di mortalità per varie cause (tutti i tumori) e malformazioni congenite nelle province di Napoli e Caserta. L’area geografica di riferimento per lo studio degli scienziati è quella compresa tra i 196 comuni delle due province campane, anche se gli effetti nefasti della correlazione tra rifiuti e salute viene poi ristretta ad un numero inferiore di comuni, quelli che sono stati maggiormente devastati dagli scarichi incontrollati di rifiuti tossici e nocivi da parte di organizzazioni criminali. Lo studio ha analizzato i dati di mortalità per tutte le cause, tutti i tumori, tumore del polmone, dello stomaco, del fegato, del rene, della vescica, linfomi non Hodgkin e sarcomi dei tessuti molli, separatamente per uomini e donne, in un periodo che va dal 1994 al 2001. Inoltre sono stati osservati i dati delle malformazioni congenite riscontrate sempre nell’area geografica di riferimento nel periodo che va dal 1996 al 2002. Sulla base dello studio dei soli dati statistici, il gruppo di lavoro multidisciplinare ha rilevato l’esistenza di una serie di indizi significativi che stabiliscono uno stretto legame tra lo stato di salute generale della popolazione residente e il processo di smaltimento dei rifiuti. In pratica, per usare un linguaggio di facile comprensione, gli scienziati hanno riconosciuto per la prima volta che la pluriennale gestione non sempre corretta dell’intero ciclo dei rifiuti, sia solidi urbani che pericolosi, e le pratiche eco-mafiose legate a queste attività, hanno determinato un disastro ambientale di proporzioni non ancora del tutto svelate, che certamente stanno influendo in maniera significativa sulla mortalità della popolazione residente nelle province di Napoli e Caserta. 

Già nel 2000, comprendendo l’estrema gravità della situazione, il Governo istituì di concerto con il Commissariato straordinario per l’emergenza rifiuti, un sito di interesse nazionale per le bonifiche, noto come “Litorale Domitio-Flegreo e Agro Aversano”. È questa un’area che gli antichi romani avevano definito Campania Felix per l’eccezionale fertilità delle campagne e l’abbondanza dei raccolti che quella terra offriva ai contadini. Oggi, questa porzione di territorio cuscinetto tra l’area Nord-Est della provincia di Napoli e Sud-Ovest della provincia di Caserta, che conta 61 comuni, è stata derubata della sua fertilità e costretta dai clan della camorra che gestiscono il business dei rifiuti ad ingoiare milioni di tonnellate di rifiuti tossici e nocivi. L’antica Campania Felix è ormai una grande discarica a cielo aperto, dove lo smaltimento criminale di rifiuti solidi urbani, tossici e pericolosi è un affare non solo di camorra ma anche di Stato. Negli ultimi anni nel comprensorio flegreo sono state aperte più discariche dal Commissariato per l’emergenza rifiuti di quanti sversatoi abbiano illegalmente riempiti gli uomini del clan dei Casalesi, la cosca mafiosa che l’affare rifiuti lo aveva annusato già negli anni Ottanta e che ancora oggi lo ritiene parte importante del core business aziendale della holding criminale. In pratica oggi lo Stato, che pure sembrava volersi fare carico della bonifica di queste porzioni importanti di territorio tra le province di Napoli e Caserta, dove il business dei rifiuti ha segnato dal punto di vista sanitario le future generazioni, mostra di assumere comportamenti non proprio di rottura e di discontinuità rispetto ad un disgraziato passato recente. L’individuazione di altre 3 discariche nella zona Giuglianese tra il 2004 e 2007, la costruzione di cinque impianti per la produzione di combustibile da rifiuti (Cdr) sempre tra Caserta e Napoli (tra il 2000 e il 2004), la realizzazione di due termovalorizzatori ad Acerra e Santa Maria la Fossa (ovvero due comuni che sono un po’ il simbolo del disastro rifiuti in Campania), l’apertura di sette siti di stoccaggio provvisorio di ecoballe sequestrati nell’agosto del 2007 dalla magistratura partenopea perché 

senza autorizzazione e perché altro non erano che discariche che appestavano l’aria e inquinavano le falde acquifere, sembrano scelte quantomeno discutibili. Certo, a parte i siti illegali di stoccaggio delle ecoballe, il resto saranno anche discariche controllate, impianti industriali a basso impatto ambientale con uso di tecnologie avanzate, ma non è facile far digerire a chi risiede tra Napoli e Caserta, che tutto ciò possa essere ancora compatibile con gli studi scientifici commissionati dal Governo, che certificano la stretta interdipendenza tra il disastro rifiuti e l’aumento della mortalità in zona. Occorre una buona dose di cinismo e tanta faccia tosta per convincere i tanti movimenti ecologisti, ambientalisti, comitati civici politicizzati o associazioni che della politica se ne fregano ma che protestano e contestano il ciclo dei rifiuti, che in questo zone epicentro di un disastro sanitario, le istituzioni si stanno comportando in maniera diversa rispetto alle cosche dei Casalesi, che di queste terre hanno fatto e fanno ancora scempio. Così come non è facile giustificare queste scelte in nome di un’emergenza rifiuti che definire ancora straordinaria dopo anni di gestione commissariale, sembra francamente una forzatura. A tale proposito, non pare affatto campato in aria, magari partorito solo da gente in preda a furori ideologici o da un certo ambientalismo che vorrebbe riportarci all’età della pietra, quanto sostenuto da intellettuali e scienziati dell’Assise di Palazzo Marigliano, che hanno lanciato da un paio d’anni un vero e proprio allarme per fermare la catastrofe sanitaria e ambientale che sta devastando la Campania Felix. Secondo quest’associazione “a completare il quadro di questa mattanza ambientale” c’è appunto l’emergenza rifiuti che consiste “nell’incapacità della classe dirigente di gestire l’ordinaria amministrazione. Una incapacità che ha comportato il paradosso di un Commissariamento straordinario permanente”. In questa situazione patologica – spiegano intellettuali e scienziati che hanno aderito all’assise di Palazzo Marigliano - si sono moltiplicati gli spazi deregolamentati in cui ha avuto campo libero “un vero e proprio comitato d’affari che gestisce - grazie all’alleanza 

tra organizzazioni criminali, imprenditoria corrotta e settori deviati dell’amministrazione pubblica e della rappresentanza politica - una fitta rete di interessi economici legati alla gestione delle cave, delle discariche e dello smaltimento dei rifiuti tossici e urbani”. Una situazione drammatica, da ultima spiaggia, che vede irrimediabilmente compromessa una zona, quella a cavallo tra la provincia di Napoli e Caserta, che è diventata oramai una sorta di enorme laboratorio dove si possono studiare i tragici effetti sanitari dello smaltimento incontrollato dei rifiuti sulla salute dei cittadini. Un terreno di studio ideale che richiama l’attenzione di tanti scienziati provenienti da ogni angolo del mondo. L’ultimo studio epidemiologico annunciato sull’area nord di Napoli, e più precisamente sulla cittadina di Acerra, è da ascrivere ancora una volta al grande interesse mostrato dal Consiglio nazionale delle Ricerche e dall’Organizzazione Mondiale della Sanità che in collaborazione con altre istituzioni scientifiche locali, a partire da luglio del 2007 verificheranno quanta diossina e quante altre sostanze tossico-nocive sono presenti nel sangue e nel latte materno. L’esperimento verrà quasi sicuramente esteso nei prossimi mesi al gruppo di otto comuni di quel vasto comprensorio a Nord di Napoli e a sud di Caserta (oltre ad Acerra ci sono Aversa, Bacoli, Caivano, Castelvolturno, Giugliano in Campania, Marcianise e Villa Literno) che già in altri studi e rapporti sanitari hanno dimostrato di aver subito e di subire ancora un tasso di mortalità per tutte le cause e soprattutto per tumori e malformazioni genetiche molto al di sopra della media nazionale, frutto questo di numerose associazioni positive e statisticamente significative (cioè non imputabili al caso) fra salute e rifiuti. Un timido segnale di attenzione verso queste zone devastate da sversatoi illegali e discariche che nascondono rifiuti tossici e nocivi, è dell’agosto del 2007, con l’attivazione di un finanziamento di 200 milioni di euro per il risanamento e la bonifica dei suoli e delle acque non solo del “litorale Domizio flegreo e Agro aversano”, una delle zone più colpite dall’ecomafia, ma anche di altri tre siti di interesse nazionale della Campania, il “Napoli Bagnoli 

Coroglio”, il “Litorale Vesuviano” e “Napoli orientale”. Le risorse saranno rese disponibili grazie ad un protocollo di intesa firmato tra il ministro dell’Ambiente, la Regione Campania ed il Commissariato di governo per l’Emergenza Bonifiche e tutela delle Acque. Una parte consistente di queste risorse, per la precisione 143 milioni di euro, dovrebbero essere impiegate solo per il “litorale Domizio Flegreo e Agro Aversano”, con la rimozione dei rifiuti nell’ambito del sito di interesse nazionale dei Regi Lagni, la pulizia delle spiagge del litorale, la messa in sicurezza e bonifica delle aree pubbliche e delle aree interessate dalla contaminazione da diossina, la messa in sicurezza permanente di discariche presenti nei comuni di Giugliano e Castelvolturno, la rinaturalizzazione di cave abbandonate, abusive e dismesse. Una bonifica indispensabile in una zona dove il nesso tra rifiuti e salute, nel 2004, assume dignità di ricerca scientifica pubblicata su Lancet, la bibbia delle riviste medico-scientifiche a livello internazionale. Si tratta di un primo, parziale, ancorché interessante esame epidemiologico sulla mortalità in tre comuni del Napoletano (Nola, Acerra e Marigliano), segnalati con una forte concentrazione di siti di smaltimento legale e illegale di rifiuti. Lo studio evidenziava un eccesso di rischio di mortalità rispetto al resto della Campania, soprattutto per alcune patologie tumorali. Il reportage scientifico partiva dall’analisi della guerra dei rifiuti che stava devastando la Campania, segnatamente la provincia di Napoli, per affrontare un argomento di sconvolgente attualità in quel periodo: a Napoli si può morire di veleni, si può morire di rifiuti. L’agghiacciante verità pubblicata da Lancet portava la firma di un ricercatore di Fisiologia Clinica del Cnr, Alfredo Mazza. Secondo lo scienziato, in una vasta zona della provincia di Napoli ricompresa tra i comuni di Nola, Marigliano ed Acerra (area definita dallo studioso “triangolo della morte”, espressione evocativa che non ha certo il sapore della scientificità ma ha il pregio di essere subito compresa), si muore di tumore ben più che nel resto d’Italia. Lo scienziato spiegava su Lancet 
che le statistiche degli ultimi anni, in questa zona abitata da oltre mezzo milione di persone, l’indice di mortalità per tumore al fegato ogni 100mila abitanti sfiora il 35.9 per gli uomini e il 20.5 per le donne rispetto a una media nazionale che è di 14.0. Mortalità ben più alta che nel resto d’Italia anche per quanto riguarda il cancro alla vescica, al sistema nervoso e alla prostata. Secondo quanto emerso dallo studio del ricercatore Mazza, l’anomalo indice di mortalità per cancro è conseguenza diretta dello smaltimento illegale dei rifiuti nelle discariche abusive della zona, che in vent’anni hanno sepolto sostanze cancerogene e radioattive che riemergono rientrando nella catena alimentare: dai sali di ammonio ai sali di alluminio, dal piombo ai copertoni che bruciano e sviluppano sostanze cancerogene. Sostanze che sono state ingoiate dalla terra, che finiscono sul territorio, che si fissano sull’erba dove pascolano pecore e mucche e sui frutti che vengono venduti nei mercatini. Sono queste le sostanze killer per l’ambiente. Gli effetti tossici sull’uomo sarebbero di due tipi: malformazioni fetali fino al mancato sviluppo di un organo, oppure sviluppo di tumori, sia negli adulti che nei bambini. Gli organi colpiti sono i più sensibili del corpo: vescica, fegato e stomaco, dove c’è maggiore probabilità che la sostanza tossica entri all’interno della cellula. Tra i 20 e i 40 anni il rischio leucemie e linfomi, dunque, risulta - secondo lo studio del Mazza - più elevato. Lo studio del ricercatore del Cnr denuncia in particolar modo il pericolo diossina, altra sostanza killer rinvenuta nelle falde acquifere, che tra il 2002 e il 2004, ha costretto le autorità sanitarie a chiudere tra Acerra e Nola 79 pozzi artesiani per inquinamento e ad intraprendere una sorveglianza sanitaria costante delle acque e il monitoraggio di tutti i bacini idrografici, con danni importanti sia per l’agricoltura che per gli allevatori. Venti anni fa tra Napoli e Caserta la pastorizia era ancora un settore importante di un’economia agricola che oggi è ridotta ai minimi termini. Greggi e pastori in questi anni hanno subito la stessa sorte: sono stati sterminati dalla diossina. Migliaia di ovini e bovini e chi li accudiva sono stati uccisi da quel disastro che solo oggi l’Organizzazione 

mondiale della Sanità ha definito “effetti sanitari della gestione dei rifiuti in Campania”. Emblematica in questo senso è la storia di Vincenzo Cannavacciuolo, uno degli ultimi pastori dell’area nord di Napoli, che dopo anni di battaglie contro ecomafie, discariche abusive e legali, in poche settimane, è stato divorato a 59 anni da un tumore che non gli ha lasciato scampo. Prima di finire anche lui all’altro mondo, una alla volta, ha visto uccidere dai tumori killer anche le sue duemila pecore. I tecnici dell’Azienda sanitaria locale segnalavano alti livelli di diossina nel latte dei suoi animali, e lui aveva più volte pubblicamente sostenuto che avrebbe fatto la stessa fine. Facile Cassandra. Vincenzo Cannavacciuolo s’era spento un po’ alla volta, stritolato dal tumore e dall’impotenza di dover assistere con orrore allo sterminio del suo gregge, ai parti mostruosi delle sue pecorelle che davano alla luce agnellini senza gambe, con un solo occhio ed altre aberrazioni genetiche che però quell’uomo ha avuto la cura di documentare. Questo umile pastore di Acerra è stato il primo, inascoltato, che ad inizio degli anni Ottanta ha denunciato quello che oggi gli scienziati vanno confermando dopo studi approfonditi sulle cause dei decessi dell’ultimo decennio: nell’area nord di Napoli e a sud di Caserta l’impatto sull’ambiente di uno smaltimento criminale dei rifiuti ha provocato danni incalcolabili sulla salute di chi vi risiede con un aumento assai significativo della mortalità per tumori, aborti indotti e spontanei per gravi malformazioni genetiche, ed ha anche fatto scempio di un comprensorio socio economico che non ha più una vocazione agricola, né è mai riuscito a dare vita ad un modello di sviluppo industriale. La morte di Cannavacciuolo e dei suoi animali, vittime invisibili dell’ecomafia, erano un macabro presagio di morte che nessuno ha saputo o voluto cogliere. Le autopsie effettuate sugli animali morti dopo atroci sofferenze hanno segnalato la presenza di diossina nel cibo e nell’acqua come causa della morte. Sull’argomento c’è una relazione tecnica del comune di Acerra, nella quale si afferma che il livello di diossina sul territorio è di ben 53 picogrammi per metro quadrato 

(ovverosia un valore quattro volte superiore al limite massimo consentito), e ci sono delle analisi effettuate da tecnici di laboratorio dell’Istituto Mario Negri di Milano, che indicano invece un’elevata concentrazione di diossine nel latte ovino locale. Un latte dunque che non poteva e non doveva entrare nella catena alimentare perché altamente nocivo per la salute. C’è poi uno studio del maggio 2007 del Ispaam-Cnr che nel confermare la gravità del fenomeno dell’inquinamento da diossina tra Napoli e Caserta, sottolinea come l’ultima crisi nel settore dei rifiuti, quella che ha portato alle dimissioni anche di Guido Bertolaso dal vertice del Commissariato per l’emergenza, abbia determinato un ulteriore aggravamento della situazione con l’incendio di centinaia di cassonetti e i roghi delle tante discariche a cielo aperto formatesi per il mancato ritiro dei rifiuti. Secondo il Cnr di Napoli, “la sistematica bruciatura dei vari residui per ridurre al minimo il volume occupato dai rifiuti, ha comportato un notevole accumulo di inquinanti ambientali, tra i quali le diossine, sostanze tossiche e altamente cancerogene”. La diossina sprigionatasi dall’incendio della spazzatura e le discariche abusive censite in alcune aree del Casertano e del Napoletano, ragionano sempre al Cnr, “mettono in pericolo la catena alimentare”. “La diossina - spiegano infatti gli scienziati - generata dall’incendio dei rifiuti contamina acqua, terreno e piante, passando nel grasso degli ovini e da lì in latte e carne”. Inutile dire che accanto al danno sanitario ed ambientale c’è poi la beffa della rovina economica, anche perché, gli elementi inquinanti contenuti nei rifiuti riversati nei corsi d’acqua o occultati nei terreni tra le due province campane, rischiano di contaminare sempre più bestiame e prodotti agricoli. Anzi, più che un rischio è una certezza che ha costretto la Coldiretti più volte ed inutilmente negli ultimi dieci anni a chiedere alla regione Campania e al Governo nazionale misure serie per difendere un territorio ancora libero da ogm e in grado di soddisfare la crescente richiesta di cibi “sicuri”. Un territorio che potrebbe ricevere a breve l’ultima, definitiva mazzata, con la distruzione totale di un 

altro settore trainante dell’economia dell’area a sud di Caserta e a Nord di Napoli: l’industria lattiero-casearia. La distruzione del simbolo dell’economia casertana e napoletana: la mozzarella fatta con il latte di bufale. Si chiamano brucellosi e diossina gli agenti killer che costringeranno centinaia di allevatori di bufale, mucche, capre e pecore ad assistere all’abbattimento con la forza da parte delle autorità sanitarie di migliaia di capi di bestiame. Non saranno certo gli incentivi elargiti dai governi nazionale e regionale a convincere i contadini e gli allevatori a fare finalmente piazza pulita del bestiame affetto da brucellosi e a pensare ad una rinascita del settore. Ma quello che è peggio è che nessuno può garantire che quest’altro aspetto poco considerato del disastro rifiuti non diventi in qualche modo un nuovo problema di ordine pubblico. Certo non lo garantiscono i carabinieri che hanno indagato sul fenomeno della brucellosi e del latte animale contaminato dalla diossina. I vertici dell’Arma hanno già fatto sapere al Ministero della Salute che qualunque piano di abbattimento del bestiame per essere eseguito va in qualche modo concordato con gli allevatori ed attuato con il dispiego sul terreno di ingenti forze per prevenire o scoraggiare qualunque forma di opposizione, sia essa pacifica o violenta. La contaminazione di pascoli e terreni da diossina è la causa principale dell’avvelenamento del latte delle bufale, quello usato per produrre la mozzarella, prodotto tipico campano che viene esportato in Italia e in tutto il mondo. Un altro prodotto-simbolo dell’economia campana che dopo aver fatto la fortuna di tanti imprenditori del settore sui mercati internazionali, rischia ora di crollare anche solo per il sospetto che possa essere un cibo fatto con latte di bufale che pascolando mangiano erba inquinata da diossina. Purtroppo la mozzarella di bufala campana, già da qualche mese non gode di buona salute sui mercati internazionali, se è vero, com’è vero, che all’estero ci si rivolge sempre più ai produttori del basso Lazio, dell’Emilia e della Puglia. Così come non è un buon viatico per la mozzarella, vedere esposti fuori ai ristoranti italiani di Berlino cartelli che invitano i 

clienti ad entrare e a non preoccuparsi per la mozzarella perché “in questo ristorante la mozzarella di bufala non è prodotta a Napoli”. E dire che una volta era un vanto poter affermare il contrario, anzi, spesso si barava servendo mozzarella di infima qualità spacciata per un prodotto campano. Anche questo, purtroppo, è il frutto amaro del disastro rifiuti in Campania. Purtroppo, a 14 anni dall’insediamento del primo commissario straordinario per l’emergenza rifiuti, quello della spazzatura in Campania ha perso i connotati della cronica emergenza e si va sempre più delineando come disastro ambientale senza precedenti. 


Ma tornando allo studio che il Dipartimento della Protezione Civile ha commissionato all’Organizzazione Mondiale della Sanità, in una prima fase, come abbiamo già spiegato, sono stati analizzati i dati di mortalità (1994-2001) e di incidenza delle malformazioni congenite (1996-2002) a livello comunale e sono state considerate 20 cause tumorali e 11 raggruppamenti di malformazioni congenite, per le quali nella letteratura scientifica sono state riportate segnalazioni di rischio associate alla presenza di discariche e inceneritori. Ebbene lo Studio Pilota ha messo in evidenza numerosi eccessi di rischio, rispetto al resto della regione Campania, in comuni compresi in una determinata area, al confine tra le due province di Napoli e Caserta, e in alcuni comuni del litorale vesuviano. Gli eccessi riguardavano la mortalità generale, per tutti i tumori e per alcune forme tumorali specifiche quali il tumore maligno dello stomaco, dei dotti biliari, del fegato, della trachea, dei bronchi e del polmone, della pleura e della vescica. Lo studio ha evidenziato eccessi di rischio per tutte le malformazioni e per alcuni gruppi specifici quali le malformazioni cardiovascolari, urogenitali e le malformazioni agli arti, in un’area sovrapponibile, sebbene più ristretta, rispetto a quella con eccessi di mortalità. Successivamente, per le malformazioni congenite e per le cause di mortalità emerse nello Studio Pilota e per le quali si hanno maggiori indicazioni a priori, è stata analizzata la distribuzione spaziale del rischio, identificando gruppi di comuni con maggiori eccessi di rischio, rispetto agli altri 

comuni dell’area in studio. In pratica lo studio dimostra che il tasso di mortalità aumenta quanto più si è vicini alle aree di sversamento dei rifiuti censite e non ancora bonificate, siano esse discariche illegali o lecite, cioè a smaltimento controllato ma comunque ad un certo impatto ambientale. L’analisi della mortalità, che ha riguardato i tumori dello stomaco, fegato, polmone, reni e della vescica, i sarcomi dei tessuti molli e i linfomi non Hodgkin, ha evidenziato l’esistenza di gruppi di comuni con maggiori eccessi di rischio per le prime cinque cause selezionate. L’analisi delle malformazioni congenite ha evidenziato gruppi di comuni con eccessi di malformazioni totali, degli arti, del sistema cardiovascolare e dell’apparato urogenitale, anch’essi in un’area sovrapponibile a quella emersa precedentemente. Questi risultati, insieme a quelli dello Studio Pilota, rafforzano l’idea di un’anomalia nello stato di salute della popolazione residente nei comuni dell’area Nord-Est della provincia di Napoli e Sud-Ovest della provincia di Caserta. Zona devastata da pratiche illegali di smaltimento e incenerimento di rifiuti solidi urbani e pericolosi. Sempre dall’analisi delle discariche censite, dei siti di smaltimento di rifiuti tossici e nocivi conosciuti e non ancora bonificati, sono stati identificati un gruppo di otto comuni a maggiore rischio (Acerra, Aversa, Bacoli, Caivano, Castel Volturno, Giugliano in Campania, Marcianise e Villa Literno), un altro gruppo di un centinaio di comuni a rischio minimo, usato come riferimento per le analisi, ed altri tre gruppi ancora caratterizzati da situazioni di rischio intermedie. Insomma cinque categorie di comuni dove è stata analizzata la mortalità totale della popolazione residente. Lo studio indica che il rischio cresce mediamente del 2%, in entrambi i sessi, da una categoria a minor pressione ambientale alla successiva a pressione più elevata, con una progressione statisticamente importante, e cioè non dovuta all’effetto del caso. Confrontando il gruppo dei comuni più a rischio con quelli meno a rischio si osserva un eccesso di mortalità generale del 9% per gli uomini e del 12% per le donne. Quanto al tasso di mortalità per tumore del fegato e dei dotti 

biliari, in entrambi i sessi, si registra un trend crescente e statisticamente significativo del rischio di mortalità (4% negli uomini e 7% nelle donne) che è direttamente proporzionale al numero di sversatoi illegali presenti e alla vicinanza agli stessi. Per le altre cause di morte studiate (tumore gastrico nelle donne, tumore della vescica, del rene, sarcomi dei tessuti molli e linfomi non Hodgkin in entrambi i sessi) non sono stati trovati eccessi di rischio. Non è stato osservato scientificamente un legame preciso, netto tra malformazioni congenite, considerate nel loro insieme, ed il crescere del valore dell’indicatore ambientale; alcune associazioni sono tuttavia state osservate per due specifici sottogruppi di malformazioni congenite. Per quelle del sistema nervoso il rischio cresce mediamente dell’8% da una categoria a minor pressione ambientale alla successiva a pressione più elevata, anche in questo caso con un trend statisticamente significativo. Confrontando il gruppo dei comuni più a rischio con quelli meno a rischio si osserva un eccesso di rischio dell’84%. Per le malformazioni congenite dell’apparato urogenitale si registra un trend significativo del 14% al crescere dell’indicatore ambientale, determinato in particolare da rischi elevati nei comuni del quarto e del quinto gruppo, rispettivamente del 54% e del 83%, rispetto al gruppo di riferimento. Lo studio conferma l’ipotesi che eccessi di mortalità e di malformazioni tendono a concentrarsi nelle zone dove è più intensa la presenza di siti conosciuti di smaltimento dei rifiuti. L’associazione è statisticamente significativa per numerosi esiti sanitari. Nelle due province campane, Napoli e Caserta, le diverse vie di contaminazione riconducibili al ciclo di smaltimento di rifiuti danno un contributo al deterioramento ambientale riconosciuto seppure di difficile quantificazione. Tuttavia, la consistenza dei dati, cioè il censimento ufficiale di siti inquinanti ancorché mai sottoposti a bonifica, suggerisce che la correlazione misurata rispecchi reali effetti sanitari legati alla compromissione di numerosi fattori ambientali che poi sono vitali per gli esseri umani come l’uso di aria e acqua, lo sfruttamento del suolo per fini agricoli e la 

nutrizione con gli alimenti prodotti in zona (frutta, ortaggi e carni animali). La concentrazione di eccessi di rischio nelle aree nelle quali la pressione ambientale da rifiuti è maggiore suggerisce che le esposizioni legate al trattamento della spazzatura sono responsabili di una quota non trascurabile di mortalità e di malformazioni. Le osservazioni effettuate includono sia associazioni aspecifiche sia associazioni specifiche, nelle quali cioè la rilevanza dell’esposizione ai rifiuti è variabile rispetto ad altri fattori determinanti, come ad esempio lo può essere il peso di industrie a forte impatto ambientale. Gli eccessi di rischio comprendono esiti a latenza breve (ad esempio malformazioni congenite, con una latenza di meno di un anno) ed esiti a latenza prolungata (diverse cause di mortalità tumorale, che richiedono anche decenni per manifestarsi). I rischi, in molti casi, sono paragonabili nei due sessi. Ciò significa che se adesso esistono già dati scientificamente certificati di un significativo impatto sulla salute dei cittadini residenti in questi comuni del Casertano e del Napoletano di un modo criminale di trattare-sversare rifiuti, questi stessi dati sono suscettibili di un ulteriore significativo aggravamento quando si manifesteranno più in là negli anni quei rischi che gli scienziati hanno definito a latenza prolungata. Ad ogni buon conto ci troviamo di fronte a dati che mostrano un effetto reale e forniscono una misura, pur approssimata, delle implicazioni sanitarie collegabili alla gestione dei rifiuti a Napoli e Caserta degli ultimi decenni, almeno fino al 2002, ultimo anno di disponibilità dei dati. Ulteriori elementi da tenere in considerazione nella lettura dei risultati riguardano l’elevato contributo delle diverse cause di morte non tumorali agli eccessi di mortalità generale registrati nelle classi di comuni a maggiore indice di pressione ambientale. In particolare, hanno rilevanza le malattie del sistema circolatorio (trend significativo del 2% negli uomini e del 3% nelle donne), i disturbi circolatori dell’encefalo (5% e 7%), le malattie dell’apparato digerente (4% e 5%), la cirrosi epatica (7% e 8%) e il diabete nelle donne (4%). Nella interpretazione dei risultati ottenuti per le malformazioni 

congenite, gli scienziati spiegano che i dati peccano di un eccesso di approssimazione a causa della non omogenea capacità di rilevamento da parte del registro campano dei difetti congeniti, elemento che può influire negativamente sulla validità della distribuzione geografica del rischio ma anche generare sottostime dello stesso rischio. Che poi si possa trattare di una reale sottostima lo induce a pensare la natura stessa dei dati del registro che si basano sui nati presenti e non comportano una totale copertura della popolazione dei nati residenti. Così come vanno considerate nel complesso di uno studio scientifico come quello commissionato dalla Protezione civile, la natura incompleta dei dati ambientali (in particolare, la conoscenza soltanto parziale delle pratiche di smaltimento illegali), che pure producono, verosimilmente, una sottostima del rischio reale. È dunque importante approfondire le conoscenze riguardo al fenomeno che assume in Campania aspetti del tutto particolari: non sono infatti disponibili nella letteratura specializzata studi paragonabili per la complessità delle sorgenti inquinanti e per la molteplice natura delle esposizioni diffuse in una zona ad alta densità di popolazione già soggetta a un miscuglio di fattori di rischio ambientale, sia di tipo chimico sia di tipo igienico-sanitario. A proposito del ciclo dei rifiuti, vale la pena notare, tra l’altro, che la situazione campana è lontana dal soddisfare le priorità identificate dalla cosiddetta gerarchia dei rifiuti sviluppata dall’Unione Europea, che stabilisce le opzioni preferibili per lo smaltimento. Applicando questa gerarchia, le opzioni per lo smaltimento in ordine di preferibilità decrescente sono contenimento della produzione, riutilizzo, riciclaggio, compostaggio, incenerimento con recupero di energia, discarica controllata, discarica incontrollata o abusiva, combustione incontrollata. Un approccio integrato alla gestione dei rifiuti sembra essere ancor più indispensabile alla luce dei risultati delle analisi effettuate. Il quadro che ne emerge, infatti, è preoccupante, e fa ritenere che una urgente risposta al problema della gestione dei rifiuti possa avere ricadute positive non solo per la qualità della vita ma anche 

per la salute di tutti i cittadini. Anche perché, se è vero, come è vero, che alla luce di questi dati scientifici che abbiamo “saccheggiato” a piene mani da uno studio dell’Organizzazione mondiale della Sanità, dell’Istituto Superiore della Sanità e del Consiglio nazionale delle Ricerche, la situazione appare gravissima, ancora di più occorre essere fortemente preoccupati per quello che sta emergendo dalle analisi sulle falde acquifere in corso di svolgimento nei comuni a Nord di Napoli e a Sud di Caserta. Più che una preoccupazione assomiglia ad un tormento, un’angoscia, che è stata portata all’attenzione del Parlamento il 3 aprile del 2007, con l’audizione in Commissione Ambiente del Senato del professor Arcangelo Cesarano, Commissario straordinario per le bonifiche della regione Campania. In una dettagliata relazione sullo stato delle attività di bonifica dei siti inquinati in Campania, Cesarano si è prima lamentato del drenaggio di gran parte delle risorse economiche destinate alle bonifiche verso il pozzo senza fondo dell’emergenza rifiuti, quindi ha spiegato ai senatori che nonostante gli studi, le analisi fin qui effettuate, i tecnici della sua struttura ancora non sono riusciti a capire quanto è inquinata la falda acquifera in quella porzione di territorio diventato sito di bonifica di interesse nazionale e denominato “Litorale Domitio Flegreo e Agro Aversano”. Parliamo di un milione e mezzo di ettari di terra, al cui interno attualmente ricadono 77 comuni. Una zona interessata prevalentemente da discariche e sversamenti abusivi e da situazioni critiche generate dalla presenza di insediamenti industriali a rischio rilevante di incidente ambientale. Una situazione estremamente delicata, per la quale Cesarano ritiene non siano state dedicate risorse sufficienti. “Il problema di fondo - ha spiegato Cesarano ai senatori - è che non abbiamo una conoscenza adeguata della situazione della falda sotterranea: vi sono numerose indicazioni di criticità, che però non si riescono ad inquadrare in un contesto generale, proprio perchè lo studio della falda non è sufficientemente approfondito”. 

In pratica dai rilievi finora effettuati dall’Arpac (Agenzia 

regionale per la protezione dell’ambiente della Campania) e anche dalla Sogin (Società gestione impianti nucleari), in fasi successive e diverse, in comuni disastrati dal punto di vista ambientale come Acerra, Pomigliano, Qualiano, Villaricca, Mariglianella, Marigliano, i dati che sono stati rilevati non sono univoci e per certi versi nemmeno comprensibili agli studiosi. Ad esempio, non si sa quale sia l’effettivo andamento della falda in tutto il territorio; non si riesce, neanche con indagini specifiche localizzate in un certo sito, a capire bene da dove proviene l’inquinamento presente nelle acque di falda perchè non è noto il flusso di falda in queste zone. “In sostanza - ha detto sempre Cesarano in audizione in Commissione Ambiente del Senato - bisognerebbe tentare di procedere ad uno studio sistematico. Personalmente ci sto provando, e nei mesi prossimi dovremmo riuscire a far partire uno studio sistematico sulla falda in modo da avere un quadro di riferimento complessivo su questo aspetto che è estremamente importante”. Nel frattempo, come è stato rilevato anche dagli scienziati del Consiglio nazionale delle ricerche, nella zona del Litorale Domitio Flegreo e Agro Aversano, dove l’agricoltura è abbastanza sviluppata, la terra è sfruttata in maniera intensiva, e l’acqua di falda utilizzata per irrigazione, certo è un problema molto grave. Che cosa mangiano gli animali? Che cosa arriva sulle tavole dei consumatori? Quale frutta? Quale verdura? Quali carni? Domande alle quali in parte è stata già data una sola risposta: cibo che contiene percentuali, a volte anche alte, di sostanze inquinanti. E siccome “noi siamo quello che mangiamo”, ci viene facile comprendere quei dati sulla mortalità per tutte le cause, per tumori in questi comuni a Nord di Napoli e a Sud di Caserta raccolti dall’Oms. Che cosa si può fare? Il Commissario per le bonifiche ha assegnato uno studio sulla falda acquifera di Acerra, con due interventi di messa in sicurezza, uno a monte e uno a valle, per fare in modo di realizzare due impianti pilota per il trattamento dell’acqua di falda. “Questo intervento non risolve il problema della falda – spiega sempre Cesarano - , ma avvia a soluzione solo la sua messa in sicurezza. Occorrono interventi più massicci 

poiché la portata della falda in quelle zone è molto elevata e quindi anche gli elementi di preoccupazione sono altrettanto rilevanti. L’origine di questo inquinamento - continua - non è nota, nel senso che sappiamo che ci sono matrici inquinanti nell’acqua di falda, ma non sappiamo da dove provenga l’inquinamento, cioè quale ne sia l’origine. Si sa che nell’acqua di falda ci sono solventi, ci sono prodotti azotati che potrebbero derivare dai fertilizzanti; insomma, c’è una serie di materiali inquinanti che potrebbero provenire dall’industria, per esempio dai reparti di verniciatura; non sto rivolgendo accuse a nessuno, ma in quelle zone c’è l’Alfa e la Montefibre vi è stata per tanto tempo”. Insomma quello che apprendiamo dall’audizione del commissario alle bonifiche Cesarano è un ulteriore elemento di preoccupazione connesso agli effetti sulla salute umana dell’inquinamento ambientale: l’acqua di falda è inquinata. Ma quello che è peggio è che non sappiamo come e se potrà mai essere risolto questo disastro ambientale. 

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