AFFARE MONNEZZA,TRE PENTITI ACCUSANO CON DICHIARAZIONI DE RELATO MARIO LANDOLFI. UNO DI QUESTI PIANIFICAVA L'OMICIDIO DEL MAGISTRATO RAFFAELE CANTONE




Tre pentiti accuserebbero Mario Landolfi, già ministro delle Comunicazioni, già presidente della Commissione di Vigilanza Rai, oggi leader di An in Campania e sicuramente uno dei consiglier più ascoltati di Gianfranco Fini, ora presidente della Camera ma pur sempre leader della destra italiana. I tre pentiti di camorra che hanno riferito fatti, date, dati e circostanze sull'affare criminale dei rifiuti in Campania sono Stefano Piccirillo, Mario Sperlongano e Augusto La Torre.
Di questi tre collaboratori di giustizia se ne parla diffusamente nel libro "Monnezzopoli-La grande Truffa" nel capitolo riservato alle pesanti infiltrazioni camorristiche nel ciclo dei rifiuti. I tre collaboratori di giustizia (La Torre era considerato il capo della omonima cosca a Mondragone, centro del casertano dove Landolfi è nato, risiede e viene eletto al Parlamento) sostengono che il clan La Torre avrebbe sostenuto elettoralmente Landolfi nella campagna elettorale del 2001 nella speranza di ottenere benefici giudiziari e altri favori non meglio precisati. Non solo, le accuse mosse dai pentiti al leader di An, sarebbero tutte riferibili a circostanze di cui non sono direttamente protagonisti ma che sono da loro conosciute de relato, e cioè raccontate da altri, assunte dunque per vere e riferite quindi ai magistrati così come sono state apprese. I tre collaboratori di giustizia (La Torre, Sperlongano e Piccirillo hanno avuto un ruolo preminente all'interno della cosca di appartenenza) che accusano Landolfi, alla domanda su quali favori il clan ha poi ottenuto da Landolfi in cambio del sostegno elettorale, riferiscono di non sapere o di non aver ottenuto nulla. Insomma, ammesso che Landolfi abbia chiesto appoggio elettorale a questi camorristi, ammesso che l'abbia ottenuto, poi non avrebbe dato nulla in cambio. Insomma non ci sarebbe stato il do ut des. Ma resta il problema, l'inquietante interrogativo su come un uomo che è stato ed è un esponente di primo piano delle istituzioni prima e di un partito poi possa aver avuto a che fare con questi soggetti. Su questo versante, però, siccome Landolfi non ha meno garanzie di un pentito e come tutti è da considerare innocente fino a prova contraria, non può essere criminalizzato sulla base di dichiarazioni de relato di tre pentiti. Peraltro, uno di questi pentiti, Augusto La Torre, è quello che un paio di mesi fa è stato destinatario di un'ordinanza di custodia cautelare perchè, in concorso con altri pentiti, nella fase in cui collaborava con la giustizia, faceva seguire, pedinare il giudice Raffaele Cantone, i suoi congiunti, in preparazione di un attentato. Insomma, per farla breve, pianificava l'omicidio di Raffaele Cantone, un magistrato coraggioso, un magistrato-simbolo già bersaglio della cosca dei Casalesi per avere negli anni rappresentato e difeso uno Stato rabberciato e spesso connivente (convivente) con la camorra in Terra di Lavoro. Cantone, per inciso, è il magistrato che ha chiuso una serie di inchieste che hanno decapitato i vertici del clan dei Casalesi, tolto loro centinaia di milioni di euro e aperto uno squarcio findamentale nel muro di omertà che circondava l'affare criminale dei rifiuti in Campania. Nelle sue inchieste, tra queste c'è quella fondamentale sulla Eco4 dei fratelli Sergio e Michele Orsi (quest'ultimo ucciso) sono rimasti impigliati anche i La Torre e dunque Landolfi. Ora Landolfi dice: "Sono ultrasereno. Questa gente con me non ha mai avuto il modo di avere contatti. Faccio politica in un territorio difficile e rivendico a me stesso di aver dimostrato con i fatti che si può fare politica con onestà e rettitudine ottenendo risultati importanti". L'augurio è che sia vero quello che dice Landolfi. Certo, per chi fa politica, e per chi la fa al livello in cui è arrivato Landolfi, non è più tanto importante essere onesto ma anche apparire tale. E poi, in situazioni come questa, e cioè quando gli schizzi di fango arrivano dal mondo melmoso e schifoso della camorra dei Casalesi, è difficile dividere i comportamenti penalmente rilevanti da quelli moralmente riprovevoli. E cioè, in terra di camorra, se un giudice va a cena con un camorrista, magari per dabbenaggine o ignoranza, non è meno grave che aiutarlo. Stesso tipo di trattamento merita il politico. Perchè un politico non è più uguale di un giudice davanti alla legge. O no?

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